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Angelica Grippa |
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-‘Vincerò io una Coppa del Mondo papà, te lo prometto’
-‘Se sei furbo dai retta a tua madre, concentrati sullo studio ed evita il calcio come la peste’
La promessa di un bambino, e il disincanto di un uomo ex calciatore che ha abbandonato i sogni di gloria per un infortunio al ginocchio. Quanti bambini sognano di diventare il campione preferito del loro papà? E quanti ci riescono a 16 anni?
Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé, ne ha vinte tre Coppe del Mondo, oltre a due Cope Libertadores, due Coppe Intercontinentali e un Pallone d’oro FIFA Onorario nel 2013. Ma il dato impressionante è segnare 1281 gol in 1363 partite. E’ tutto per lui, il film biografico ‘Pelè’, scritto e diretto dai fratelli Jeff e Michael Zimbalist, che narra le vicende del campione brasiliano dall’infanzia sino alla gloriosa vittoria del mondiale nel 1958.
La storia è un ritratto commovente di quattro ragazzini che vagano per le favelas di San Paolo, giocando per tutto il tempo con una palla di pezza. E’ la povertà, l’unica fedele e costante amica dei protagonisti. Si iscrivono persino ad un torneo cittadino ma non potendosi permettere le scarpe, rubano delle noccioline che costeranno la vita ad uno dei protagonisti. Il piccolo Edson chiamato ‘Dico’ Arantes, non ha mai avuto un vero pallone, e di solito arrotola vecchi stracci o calzini per dedicarsi a quella che sarà la sua passione più grande, trasmessa dal suo papà Dondinho. Anche lui a suo tempo fu un talento calcistico, ma la sua carriera fu stroncata precocemente da un infortunio al ginocchio. La mamma che ha vissuto il dramma di un marito finito a pulire i bagni, spinge il piccolo Dico a dedicarsi agli studi per la promessa di un futuro migliore. Ma il padre, se all’inizio appoggia le scelte della mamma, in gran segreto alimenta il sogno del figlio, che poi da sempre è il suo. Il piccolo Dico nel film vene soprannominato ‘Pelé’ per aver sbagliato la pronuncia del nome del portiere della nazionale brasiliana Bilè. Alla fine del torneo cittadino disputato contro ragazzi di classi più abbienti, il piccolo Pelé capace di rimontare ben 5 gol, viene inneggiato dalla folla con il nome Pelé, ed è così che inizia ad amare quel nomignolo.
Da quel momento in poi cambierà tutto nella sua vita: per a quel match assiste un osservatore che nota il piccolo e lascia il suo contatto alla famiglia. Pelé dopo lo sfortunato incidente al suo amico abbandona i sogni di gloria del calcio, promettendo a sua madre di studiare e non pensarci più. Nel frattempo con il papà si allenerà con i frutti, un po' per mancanza di altro, ma soprattutto per affinare la tecnica calcistica. Sarà proprio sua madre a richiamare quell’osservatore che gli proporrà un provino al Santos, il piccolo accetterà tra dubbi e paure. Sin dal provino si evincerà la caratteristica fondamentale di questo straordinario campione, la forte componente brasiliana del suo gioco, e la presenza della ‘ginga’. Questa tecnica simile ad una danza ha origine negli anni di dominio portoghese e arrivo degli schiavi africani, dalla fusione tra lotta e capoeira nasce questa tecnica che ormai i brasiliani possono adoperare solo nel mondo del calcio. Dopo aver perso la finale mondiale del 50’ contro l’Uruguay, i brasiliani si interrogano sul mantenere o meno questa tecnica nel loro calcio. All’inizio il mister del Santos chiede a Pelè di abbandonare quello stile, definito superato, ma quando gli viene data la possibilità di essere se stesso, il piccolo Dico non si fermerà più. Tanto che all’età di solo 16 anni si troverà in prima squadra e a 18 a disputare un mondiale con il Brasile, e grazie alla ‘ginga’ e a tutta la gioia che esprime in campo alzerà quella coppa del mondo. E’ gloriosa sin dall’inizio la storia di questo piccolo mago del calcio.
Intenso il ritratto familiare, il rapporto con i genitori, la commovente povertà quotidiana e la ricchezza interiore dei protagonist. Ma a mio avviso la parte più interessante del film è la rappresentazione della gioiosa cultura brasiliana, e la netta contrapposizione con quella europea. La spiegazione fedele della nascita della ginga, e tutta la descrizione delle componenti afro nella cultura brasiliana, tutto questo in Pelé è fortissimo e l’accompagnerà per tutta la carriera. Quella promessa il piccolo Dico la mantenne, e la gioia del padre e della madre in lacrime dopo la vittoria del mondiale del ’58, chiude un film che racconta in modo romantico la storia d’amore del calcio con Pelè. Non è sicuramente impresa facile rappresentare sul grande schermo il gioco più bello del mondo, ancora più complesso è dover rappresentare uno dei più grandi talenti di sempre, il regista sceglie di farlo in modo semplice e io dico scelta vincente. Alla fine del film una domanda mi sorge spontanea: cosa sarebbe oggi il calcio senza la ginga e senza Pelé?