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Roberto Orlando |
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Dei derby degli anni '70 io non so niente, di quelli degli anni '80 e '90 vaghi ricordi e i racconti dei più grandi. Le foto delle galline allo stadio, delle bare, degli insulti e degli sfottò, dei tifosi incredibilmente tutti insieme al Delle Vittorie, degli striscioni rubati, della rivalità fuori dal campo di calcio che si condensavano negli anni della leva. Ricordi vecchi di foto sgranate, scattate da una polaroid o da una macchina fotografica a rullino. Se dovessimo fare i melanconici, di come era il mondo all'epoca e di come è adesso, prenderemmo la triste piega di quei post di gruppi FaceBook tipo "noi degli anni '80". Meglio non cadere in questa nostalgica trappola.
Nel corso degli ultimi 30 anni Taranto e Bari hanno vissuto vite calcistiche parallele, gli unici punti di incontro (o meglio, scontro), erano gli autogrill e la strada. Incroci di trasferte, agguati e naturalmente, i cori da uno stadio all'altro. Chi non salta è un barese, chi non salta è un tarantino. Potrei flagellarmi l'anima andando a rivedere le stagione del Bari dal 1993 in poi (9 in serie A, 15 in B), o elencare i calciatori che hanno vestito la maglia biancorossa (Boban, Protti, Di Vaio, Zambrotta, Cassano, Bonucci...), facendo crescere e sognare generazioni di piccoli galletti. Ma il confronto non reggerebbe. L'acqua che è passata sotto i ponti non è nemmeno più quantificabile.
Se suddivido la tifoseria per fascia d'età, un buon 40% della popolazione residente nelle due città non ha vissuto la rivalità calcistica tra rossoblù e biancorossi. Sono i nati negli anni '80, i millenials, le generazioni Y e Z, per intenderci. Sono i nati nell'era digitale e residenti sui social. Taranto e Bari rivali? Forse solo per i tarantini, per sintetizzarla al massimo.
Poi c'è la generazione X, quella dei nati negli anni '60 e '70, ultracinquantenni e ultraquarantenni dai capelli bianchi come me, che qualcosa l'ha vissuta. Ma tra gli scontri, le pietre, i disastri, c'è sempre stato qualcosa di più. Un campanilismo non solo calcistico ma politico, di chi voleva liberarsi dal giogo del capoluogo di regione e chi, di contro e con altre capacità, deteneva e manteneva potere economico e politico. I fratelli Matarrese, per intenderci.
Che il fallimento del 1993 del Taranto sia stata volontà dolosa dei Matarrese non è verità assoluta, anche se siamo certi che se fosse in vita il buon Donato Carelli qualcosa da dire a proposito ce l'avrebbe, ma non è che poi nei successivi trenta anni il Taranto si sia più di tanto rialzato... I biancorossi, di contro, conclusa l'era Matarrese con l'auto-fallimento del 2014, restano vittime dei personaggi Paparesta e Giancaspro e falliscono nuovamente. Mentre a Taranto passano cordate, "il patron", "il trattorista", "il fallito a km 0", "il duo", "il salumiere", di nuovo "il duo" e "Zio Fester" (come lo soprannominava il suo attuale fidatissimo consigliere) e non si vedono sceicchi all'orizzonte, a Bari si fa la fila dietro la porta del Sindaco Decaro (tifoso del Bari) per l'acquisizione del titolo sportivo. La FilmAuro di DeLaurentis riporta in 4 anni il Bari in serie B. Dovrà risolvere il problema della multiproprietà con il Napoli, ma questi sono fatti loro.
Dopo essersi re-incontrati nella sfida del San Nicola, ritorna il primo derby dell'era digitale dello Iacovone. Ci si sfotte sui social, le varie generazioni dicono la loro dal proprio punto di vista e qualcuno magari cerca di superare la melma degli anni '80 e si chiede se il confronto sarà almeno diverso dalla narrazione della generazione X. Taranto - Bari resta una partita diversa dalle altre, almeno per i tarantini. Ma non è questa né una colpa né un complesso di inferiorità. La Storia è un oggetto che cambia forma a seconda della prospettiva dalla quale si vede. E da ciò che si legge e si sente in giro, per i supporters rossoblù è un banco di prova per la maturità del tifo.
Mentre sull'Adriatico già si pensa alle sfide del prossimo anno, in riva allo Jonio chi per 30 anni ha cantato cori di scherno contro i cugini biancorossi, vedrà materializzarsi in campo l'avversario. Il discorso della fede: credi a qualcosa che non hai mai visto. Almeno fino a sabato. I 10 mila dello Iacovone non sono gli unici a "sentire" il derby, ma anzi sono la dimostrazione che questo derby continua ad esistere nonostante tutto questo tempo.
Ci sta ogni discorso ma basta che da Pasqua in poi ci si liberi da tutto ciò e si pensi a come far rinascere questa città, socialmente e calcisticamente. Un anno zero che parta dal derby di sabato. Perché, come si dice, "i guai della pentola li conosce il mestolo". Dovremmo sapere noi quali sono i nostri problemi e come uscirne. In fondo, siamo nel 2022.