WIZZAIR MILANO MARATHON 2025

La mia prima volta: il diario della maratona di Milano

Tutto bellissimo, condensato in una sola parola: devastante
   Roberto Orlando

09 Aprile 2025 - 16:00

Tempo di lettura: 10 minuti

La prima volta non si scorda mai, si dice. E vale per tutto, anche per una esperienza come la maratona. Ma come nasce il desiderio di correre la regina delle corse su strada? Per tutti i corridori, novizi o scafati, veloci e meno veloci, ad un certo punto viene lo “sghiribizzo” di pensare di andare oltre, di arrivare lì, nell'olimpo della corsa su strada. E dopo aver macinato 5 chilometri, poi 10, poi 15, ci si chiede “fin dove posso arrivare? Ai 42 chilometri della maratona?” D'altronde, affascina l'epicità della leggenda di Filippide, che terminata la battaglia di Maratona, per annunciare la vittoria dei greci sui persiani, con indosso l'armatura percorse i circa 50 chilometri che separavano la piana di Maratona da Atene. Arrivato, stremato, comunicato il suo messaggio muore per il grande sforzo.

Beh, non arriviamo a questo estremo, ma di certo questa storia ha ispirato il barone Pierre de Coubertin ad organizzare questa gara per le prime olimpiadi moderne, ad Atene, nel 1898. Dopo il 1920 la distanza venne ufficializzata dalla Federazione mondiale di atletica a 42 chilometri e 195 metri. Quindi la maratona non è un tipo di gara, ma è una distanza ben definita. Diffidate da chi dice di aver corso una maratona di 10 chilometri (ce ne sono in giro, eh)! La maratona porta con sé un'aurea magica e storie incredibili, ma senza troppo dilungarci, citerò solo il mitico Abebe Bikila, l'atleta etiope che vinse la maratona delle olimpiadi di Roma correndo scalzo (!), diventando il simbolo dell'Africa che si liberava dal colonialismo europeo.

Torniamo a noi: negli ultimi due anni la ripresa dell'attività fisica (la corsa, ricordiamo, era l'unica attività permessa durante il secondo lockdown ed eravamo diventati tutti runners) e grazie alla forza e al sostegno tecnico della società di cui faccio parte, la Nuova Atletica Taranto, questa pazza idea di correre la Maratona era ritornata a farmi un buco in testa, quasi come un'ossessione. Quale fare? Venezia per affetto, Roma per l'epicità, quella più geograficamente vicina della Grecìa salentina? Mi confronto con Valerio, cugino runner che vive al nord, come tanti figli di questa terra. Mi propone Milano, offrendomi anche ospitalità. In realtà (lo scoprirò dopo) lui sperava che desistessi, ma quando gli ho detto “ok, ci facciamo Milano”, ormai era in ballo. Ma ha ballato bene anche lui.

Decisione presa in tempo utile per iniziare gli allenamenti, sei mesi prima della data della gara (6 aprile). Consigli sulla tabella da seguire (grazie Massimo!) e via. Scarpe ai piedi, calcolo degli orari in cui allenarsi (mattina presto, primo pomeriggio, tardo pomeriggio, sera) e iniziamo. Se c'è una cosa che gli allenamenti ti insegnano è che non puoi mai dare niente per scontato: anche se segui tutti gli allenamenti, segui la giusta alimentazione, i consigli, usi la giusta attrezzatura, l'alea dell'imprevisto è sempre troppo estesa. E si protrae per tutto il periodo, fino ad amplificarsi in maniera quasi paranoica nelle ultime due settimane, quando ormai la data si avvicina e la montagna dei 42.195 metri è proprio lì davanti.

Confronti giornalieri con Valerio (uno a Taranto e l'altro a Monza) su tutto: sensazioni dopo gli allenamenti, sugli integratori, fino ad arrivare alla maniacalità di condividere le scelte sull'abbigliamento da mettere il giorno della gara, finanche le mutande. Tutto deve essere come in allenamento, non c'è spazio né tempo per poter cambiare il minimo dettaglio già testato, anche quando e quanto bere. E poi il confronto con chi aveva già vissuto l'esperienza della “regina”: Gianluca, Antonino, Marisa, Daniela, Gigi e tutti gli altri della squadra. Ultimi giorni allo studio del percorso (grazie RunningZen per i vostri consigli su youtube), ma anche come organizzare il viaggio. Toccata e fuga. Moglie e figlio approvano poco, ma prometto che alla prossima ci andremo insieme.

Si parte sabato, con l'abbraccio e gli auguri (fondamentali, necessari, indispensabili) di moglie e figlio, aereo per Malpensa, hotel, Mi-Co Milano Conferenze. Spazi enormi dove ritirare il pettorale, assistere alle conferenze, osservare gli stand degli espositori e pensare che tutto ciò lo organizzeremo per Taranto a novembre prossimo (emozione!). Foto di rito col pettorale, saluto a zia e cuginanza varia (che mi avranno considerato pazzo) e sabato sera minimale da vigilia importante. Il carico dei carboidrati pre-gara con pizza da Capuano (non Eziolino!) e siparietto col cameriere sulla birra alla spina “abbiamo la Raffo, va bene?” E si, che io vengo da Taranto per bere a Milano la birra Raffo... Chiacchiere e ultimi confronti con Valerio su come affrontare la gara e ritiro in hotel presto. Che la sera prima della gara bisogna riposare. Che poi, in realtà, la notte prima non si chiude occhio per l'emozione.

Il giorno della gara: sveglia presto, colazione uguale a quella di casa (immaginate aver rinunciato al ricco buffet dell'hotel per mangiare solo 4 fette biscottate e una tazza di the), noi che siamo abituati a perdere la dignità davanti alla colazione pagata. Due passi di riscaldamento e la prima persona che trovo fuori dall'hotel ha un bomber smanicato rosso e blu. Non ci credo e grido: “capitanooo!” Gigi De Biasi, il nostro capitano, carico come una molla, si stava già dirigendo alla metro mentre io ancora dovevo prepararmi. Comprendo la sua concentrazione perché scappa letteralmente via, ognuno ha bisogno dei suoi tempi, e delle proprie abitudini. D'Altronde, anche io sono pesante su questo. Forza Gigi, mi dico da solo.

In metro e a Piazza Duomo c'è il mondo. 10 mila runner e 16 mila staffette, meno della metà italiani. E capisci le potenzialità turistiche e come un evento del genere impatta sull'economia di un territorio. E pensi sempre al confronto con Taranto e di quello che significherà la prossima maratona. Ritrovo Valerio, alle 8:30 precise partono i top runner, che non sono umani ma vere e proprie macchine da guerra. Come se giocassimo sullo stesso campo insieme a Lautaro o Moise Kean. Il nostro blocco parte alle 9, e attraversiamo il centro: Porta Venezia, Porta Nuova, Garibaldi, parco Sempione per poi arrivare a City life, il simbolo della Milano economica fino ad arrivare all'ippodromo di San Siro. Ormai siamo a metà gara, le gambe girano bene, in giro tanta gente che fa il tifo per chi corre, ci sono tanti punti musica e in pochissimi si lamentano delle strade bloccate. E il pensiero torna a Taranto e alla gara, in contemporanea, che stanno vivendo gli amici della NAT. A Parco di Trenno vedo addirittura un ristoro che oltre all'acqua, ai Sali minerali e alla frutta propone anche salsiccia e hamburger. No, davvero, ora no.

Lo stadio Meazza si presenta davanti ai nostri occhi in tutto il suo fascino, forse sarà l'ultima volta che lo vedremo così. L'ultima volta che ci sono andato Shevchenko e Inzaghi piegarono la Juventus 2-1. Mamma mia… inizio a vedere gente col pettorale viola della maratona che inizia a camminare, i primi iniziano a mollare. Su, dai, forza… gli incitamenti della gente e degli altri runner tiene un po' su tutti, la strada è ancora lunga. Inizio a rallentare, ma non mi preoccupo: i ristori non li salto, le gambe ancora reggono, il fiato c'è. Ma attorno inizio a vedere i primi caduti: nelle pubblicità delle maratone ti fanno vedere le cose belle come la tensione pre-gara, l'arrivo, i sorrisi… in realtà gli ultimi 10 km sono l'incubo. Si parla del muro dei 30 chilometri e in effetti in tanti ci stanno sbattendo.

Gente per terra in preda ai crampi, altri agli angoli delle strade a vomitare, infermieri e sanitari all'opera: più si va avanti e più queste scene aumentano. In tanti camminano, non ce la fanno più: per farmi forza li sostengo tutti: “forza Antonio, manca poco”, “dai Michele che ce la facciamo”, “come on Steve, don't give up”. Ormai dopo 35km parliamo qualsiasi lingua straniera. Passo qualche chilometro così, l'obbiettivo è arrivare al successivo ristoro dove bere e mangiare qualcosa. Al km 35 inizio anche io ad avere segni di stanchezza ma ancora non di cedimento: lo sfregamento dei pantaloncini inizia a dare fastidio, me li arrotolo su in stile Alessandro Ambrosi, cerco di correre all'ombra per evitare il caldo. Al 37° mi si avvicina una ragazza che fa: “per favore mi dici quanto manca? Io non ce la faccio più, ora piango. Voglio solo andare a casa”. “Dai facciamo qualche metro insieme” le dico, in modo da sforzarmi anche io a non cedere. Tempo 100 metri e i crampi alle gambe prendono anche a me. La sensazione è quella di sentirsi persi. Come ci arrivo adesso al traguardo? E poi, in hotel? Come torno a casa anche io? Un misto tra panico e confusione, mitigate solo dalla fretta di finire tenuto su da un aspetto bizzarro: il late checkout in hotel, previsto per le 14:30. Entro quell'ora devo essere a Porta Venezia. Ecco, questo mi ha tenuto in piedi. Fa ridere, ma è stato così.

Mi fermo. Stretching, riparto. Cammino, corricchio, fino quasi al 42°. Non posso arrivare in piazza Duomo camminando, che figura ci faccio? Riprendo a corricchiare, il Duomo sulla sinistra è bellissimo come casa dopo tanto tempo fuori. Insieme ad altri, stanchissimi, arrivo. Braccia aperte, Garmin stoppato, ce l'ho fatta. Quattro ore e 40 minuti, ben oltre il tempo che mi ero prefissato. Ma va bene così: penso a chi si è sdraiato a terra in preda ai crampi e agli infortuni e ringrazio di essere arrivato. È tardissimo, devo correre in hotel. Prendo la medaglia (bella e “pesante”), la maglia, il ristoro finale, passo a toccare la gamba del flagellatore sul portale del Duomo in segno di ringraziamento (come ho fatto prima di partire) e subito alla metro. È fatta. Purtroppo lascio troppo presto la piazza, ma lo stato di confusione è troppo, sono stanco e necessito di andar via. Anche Valerio è scappato a casa, sopraffatto dalla fatica. Almeno lui è arrivato, a me tocca tutto il viaggio di ritorno. Sento anche il capitano, lui è un grandissimo e ha chiuso in meno di 3 ore. Davvero da top runner!

La prima volta non si scorda mai e le emozioni vissute alla mia prima maratona, a Milano, città sempre affascinante, resterà. Ora almeno un paio di giorni di riposo e diversi mesi di attesa prima della prossima. Prima, come ci siamo detti con Valerio, cerchiamo di dimenticare la sofferenza patita e poi pensiamo ad un'altra avventura. A casa, Nicolò mi accoglie con un fortissimo abbraccio, come dopo ogni gara gli metto la medaglia al collo e poi tutti a nanna. Domani si lavora.

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